Il diario di Luca e Nina
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“Il diario di Luca e Nina” – scritto da Elena Grilli insieme a Myriam Fugaro, è un breve testo per sensibilizzare sul tema della violenza di genere. Può essere letto in iniziative ed eventi in cui si vuole trattare questa tematica aiutando le persone a riconoscere i vissuti sottostanti le dinamiche della violenza.
I pensieri e le emozioni dei due protagonisti si srotolano lungo le varie fasi di una escalation violenta:
- innamoramento
- gelosia
- isolamento
- esplosione della rabbia
- pentimento
- perdono
- rabbia ancora più forte
- paura.
Molto adatto per iniziative nelle scuole superiori, può essere letto da un ragazzo e una ragazza per permettere un’immedesimazione e una consapevolezza profonda di come ci si sente dentro il ciclo della violenza.
Può essere scaricato da Amazon sia nel formato ebook che in quello cartaceo. I proventi andranno interamente all’Associazione Artemisia, che gestisce il centro antiviolenza di Fabriano.
Aiutare a uscire dalla violenza – il libro
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“Aiutare a uscire dalla violenza”, pubblicato da Edizioni Centro Studi Erickson, è un piccolo manuale guida per tutti coloro che operano nell’ambito del sostegno alle donne intrappolate in una relazione maltrattante per sostenerle nel loro percorso di uscita dalla violenza.
Il libro illustra in modo schematizzato e puntuale i principi cardine dell’intervento, anche in considerazione delle varie fasi del processo di fuoriuscita dalla violenza. Si tratta di un campo in cui improvvisare può essere davvero pericoloso. Fare una valutazione del rischio attendibile, avere presenti le sfide di ogni fase e i principali ostacoli che si incontrano, conoscere ed empatizzare con l’emotività e le modalità più o meno funzionali di cui sono portatrici le donne, sono fattori cruciali della competenza in questo ambito.
Il libro nasce dall’esperienza quasi ventennale in due centri antiviolenza e una casa rifugio, nei quali ho lavorato come operatrice di accoglienza o psicologa, in contesti di supporto individuale o di gruppo (laboratori: “fEMPOWER“, “La forza delle donne“, “Il cerchio di Banpo“).
Vengono composti in un quadro coerente il frutto dell’esperienza personale, le risultanze della letteratura scientifica, le buone prassi maturate all’interno dei centri antiviolenza D.i.Re., i protocolli internazionali.
Il testo rappresenta una guida utile a tutti gli operatori ed operatrici dei servizi pubblici e privati, anche con professionalità diverse, per sostenere colloqui con le donne che chiedono aiuto, rispettando la volontà di queste ultime e allo stesso tempo senza perdersi in quella realtà multiforme, caotica e contraddittoria che è la violenza.
INDICE
Premessa
Introduzione alle dinamiche della violenza maschile sulle donne
Le radici socio-culturali e politiche della violenza nelle relazioni di intimità
La dinamica del potere e del controllo
I luoghi comuni che giustificano la violenza
Il ciclo della violenza
Violenza di genere e conflittualità di coppia
Le principali conseguenze psicologiche della violenza
L’intervento con le donne che subiscono violenza
Il principio di non neutralità
Le risposte alla richiesta d’aiuto
La prima accoglienza
Discriminare se si tratta di conflittualità di coppia o violenza di genere
Gettare le basi di un rapporto di fiducia
Rilevare le aspettative e ascoltare i desideri
Addivenire a una prima valutazione del rischio
I successivi colloqui di accoglienza
Ricostruire la storia della violenza
Far emergere le dinamiche di potere e controllo
Identificare le strategie di resistenza e le risorse
Avere una valutazione della “readiness”
Identificare gli ostacoli alla fuoriuscita
Il sostegno lungo tutto il percorso di uscita dalla violenza
Curare l’aspetto della sicurezza
Contrastare la vittimizzazione
Ridare senso e coerenza
Gestire gli atteggiamenti disfunzionali
Il processo decisionale di fuoriuscita dalla violenza
Fase di inconsapevolezza della violenza
Aumentare la sicurezza della donna e dei bambini
Incrementare il grado di consapevolezza della violenza e delle sue conseguenze
Iniziare a spostare il focus dal maltrattante al vissuto della donna
Fase di ambivalenza
Aumentare la sicurezza delle donne e dei bambini
Mettere a fuoco le strategie di coping
Rinforzare la rete sociale
Discutere l’ambivalenza
Sostenere le donne che decidono di restare
Fase di preparazione alla fuoriuscita
Permettere alla donna di disporre delle informazioni chiave
Rafforzare la capacità di problem solving
Rafforzare la sicurezza in vista della fuoriuscita
Sostenere la fiducia nel cambiamento
Fase di attivazione e immediato post-separazione
Predisporre strategie per difendersi dallo stalking
Riconoscere il ciclo della violenza quando si ripresenta
Tenere alta la motivazione al cambiamento
Affrontare l’eventuale ritorno dal maltrattante
Fase della totale emancipazione dalla violenza
Procedere con il processo di rielaborazione della violenza
Proteggere il benessere emotivo
Promuovere l’assertività e una sana vita di relazione
Appendice
Piani di sicurezza
Fase di inconsapevolezza della violenza
Fase di ambivalenza
Fase di preparazione alla fuoriuscita
Fase di attivazione e immediato post-separazione
L’eventuale ritorno dal maltrattante
Totale emancipazione dalla violenza
Il fantastico Regno di Ottone
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“Il fantastico Regno di Ottone” – scritto da Elena Grilli insieme a Myriam Fugaro, Antonella Pampolini e Monica Massaccesi – è una fiaba che descrive la realtà di famiglie dove c’è violenza, con il focus sulla violenza assistita.
Per i bambini e le bambine può essere importante comprendere quello che accade e la sofferenza personale che ne scaturisce. Questo aiuta ad elaborare ed accettare determinate scelte protettive, come quella di sottrarsi alla violenza, interrompendo il legame (anche temporaneamente) con il papà violento.
Scritto a partire dall’esperienza del Centro antiviolenza di Ancona, Donne e Giustizia, è pubblicato da Ventura edizioni.
Ordinabile presso: Donne e Giustizia, via Senigallia 16, Ancona – tel. 071205376 – donne.giustizia@gmail.com
I personaggi della fiaba sono:
- Re Ottone, premuroso con la regina, capace di giocare con i figli, acclamato e amato dal popolo
- Regina Olimpia, una donna forte
- Principessina Viola
- Principino Blu
- Cane Febo
Schema Therapy
Scritto da elena il . Pubblicato in Senza categoria.
La schema therapy
Per alcuni di noi le prime fasi della vita non sono state facili. Quello che abbiamo attraversato e le prime sfide che abbiamo dovuto fronteggiare possono continuare ad avere effetti sulla nostra vita adulta.
Il contesto sociale e familiare in cui siamo nati può averci aiutato oppure al contrario ostacolato, nel soddisfare i nostri bisogni primari. Tutti i bambini hanno bisogni innati fondamentali, ma non sono in grado di soddisfarli da sé, dipendono dalla capacità di accudimento degli adulti.
Hanno bisogno di:
- percepire sicurezza, stabilità, nutrimento, accettazione e amore incondizionato,
- sviluppare competenze, autonomia, fiducia in sé e senso di identità,
- esprimere emozioni e bisogni ed essere validati per il loro sentire,
- essere liberi e spontanei nel gioco e nell’espressione di sé,
- sperimentare limiti realistici che li aiutino a sviluppare autocontrollo e capacità di stare in modo appropriato e responsabile nelle relazioni.
La Schema therapy è un approccio integrato evidence-based, introdotto da Jeffrey Young, che aiuta le persone ad affrontare gli schemi disfunzionali sviluppatisi in tenera età, e adottare modi di pensare e di agire più sani.
Gli schemi sono temi di vita costituiti da pensieri, emozioni, ricordi e sensazioni fisiche. Hanno a che fare con i modi che abbiamo di relazionarci con noi stessi, gli altri e il mondo in generale. Questi modi possono essere problematici o disadattivi quando i bisogni fondamentali dei bambini non sono stati soddisfatti, per i limiti o l’inadeguatezza nell’accudimento ricevuto dalle figure adulte.
Uno schema definito “maladattivo” può portarci a distorcere l’informazione e a spingerci ad agire in modo disfunzionale o a fare scelte non buone per il nostro benessere. Ad esempio, sentirci inadeguati e sbagliati ci può portare ad avere paura di esporci in normali situazioni di vita, dove temiamo di sbagliare, essere malgiudicati e rifiutati o derisi. Questo può condurre a condotte di evitamento delle situazioni dove potenzialmente potremmo fallire, incrementando la nostra sensazione di incapacità e inadeguatezza.
Il trattamento proposto dalla Schema therapy implica identificare ed esplorare gli schemi maladattivi precoci nella propria vita, sviluppare un’approfondita comprensione sia delle origini degli schemi, sia del modo in cui essi creano difficoltà nella vita presente. Si tratta del trattamento elettivo per i disturbi di personalità.
L’intervento consiste nell’essere assistiti dal terapeuta nello sfidare attivamente i pensieri generati dagli schemi, anche con esercizi di tipo immaginativo o esperienziale, e nel perseguire modi di agire diversi rispetto al passato. Vi sono una varietà di tecniche ormai ben consolidate per passare gradualmente dagli schemi problematici a schemi più funzionali e sani.
La sala d’attesa
Scritto da Elena Grilli il . Pubblicato in Senza categoria.
“La sala d’attesa” a Monte San Vito
Rappresentazione teatrale e formazione sulla violenza di genere
Scopri una interessante modalità di sensibilizzazione sulla violenza di genere attraverso il teatro.
Quando 1+1 fa sempre 1
Scritto da Elena Grilli il . Pubblicato in Mondo femminile e violenza di genere, Senza categoria.
Quando 1+1 fa sempre 1
La violenza psicologica come modo per annullare l’alterità
Breve sintesi dell’intervento
“Quando 1+1 fa sempre 1” è illustrativo di quello che accade in una relazione sentimentale non alla pari, basata sul potere e il controllo, non necessariamente ottenuto attraverso agiti palesemente violenti sul piano fisico. Le modalità più nascoste e subdole, dobbiamo poterle riconoscere per potercene difendere. Quello che accade è che una delle due individualità prevale al punto da annullare, schiacciare, cancellare completamente l’altra.
Quello che è in gioco nella relazione è il potere assoluto. Uno dei due necessita di dominare come un sovrano assoluto. Diversamente dal violento fisicamente, però non è un sanguinario, che soffoca nel sangue la ribellione. E’ un capo che vuole la sottomissione volontaria di una partner, la sua adulazione. Vuole che la partner non possa nemmeno immaginare la sua vita senza di lui.
Ora, se si vuole la sottomissione di qualcuno, senza commettere reati, senza minacciare di morte, senza picchiare, senza usare armi o oggetti contundenti, come si può fare? Si attacca la fiducia che la persona ha in se stessa, facendola vacillare, portandola ad avere dubbi sulle proprie capacità. Portandola alla convinzione di avere bisogno di appoggiarsi a qualcuno che la sorregga, la guidi e la protegga. È così che si ottiene il potere.
Chi fa violenza psicologica?
Il senso comune ci dice che tutti e tutte siamo capaci di fare violenza psicologica. Nella coppia può avvenire ad opera di un uomo o ad opera di una donna verso il rispettivo partner. Si è visto che può avvenire con le stesse modalità anche nelle coppie omosessuali.
Ma… la violenza ha anche radici culturali, viene di più legittimata quando viene fatta da un uomo. Per questo motivo è statisticamente più frequente e più micidiale e pericolosa. Anche i giudizi negativi sono più forti su una donna quando non si confà ai ruoli di genere. La cultura ancora profondamente patriarcale ci insegna fin da appena nati che le donne sono fatte per servire gli uomini. Dunque quando un uomo fa violenza psicologica criticando il disordine in casa, la cena fredda, la camicia non stirata, viene anche legittimato dalla cultura dominante. Invertendo i ruoli, una donna può certamente agire violenza psicologica imponendo pretese varie, ma non c’è un retroterra culturale che le dia ragione.
Una delle modalità attraverso cui avviene il soggiogamento di una persona è l’isolamento, fino anche alla reclusione tra le quattro mura. Anche qui, una donna che esce da sola o con le amiche lasciando il marito a casa può andare incontro a pesanti giudizi. Dunque quando un uomo fa pesare che non dovrebbe uscire senza di lui, è legittimato in parte da un pensiero che non è solo suo, ma di una parte della società in cui viviamo. Il contrario non accade. Una donna può agire nel senso di limitare la libertà dell’altro, criticando, accusando, insinuando, ma certamente andrà incontro al biasimo generale.
In definitiva, se in una coppia è l’uomo a dettare le regole, a dominare, si dice che sta facendo l’uomo. E questo è ok. Se è una donna ad avere il comando, si dice che non è una vera donna. Non è ok. Il primo viene premiato dalla società, la seconda viene biasimata.
Il bisogno di controllo: perché?
Tutti abbiamo bisogno di controllo: ci permette di percepire la realtà in modo stabile e meno minaccioso. Se io ho fiducia di poter esercitare un certo controllo sulla realtà che mi circonda, nulla di poi così terribile mi potrà mai capitare. Non sono alla mercé del caso, del fato, di eventi avversi fuori dal mio potere. Questo è vero per tutti quanti noi. E riguarda anche le relazioni sentimentali: il bisogno di sentire che la relazione sia stabile, sicura e che la persona che ho accanto è affidabile.
Per alcuni il bisogno di controllo è esasperato, diventa bisogno di potere sull’altro. Ha a che fare con il non accettare un minimo rischio. Ad esempio, in una coppia alla pari, dove entrambi sono liberi, è necessario accettare una certa dose di rischio di essere traditi o lasciati. Se non lo si accetta, perché si dà a questi fatti un significato particolarmente negativo, terribile (sono rifiutabile, abbandonabile, sono sbagliato, le mie relazioni sono un fallimento e quindi io sono un fallimento) allora si cercherà di scongiurare il più possibile questa evenienza, esercitando controllo. In una profezia che si autoavvera, di solito proprio diventando controllanti, invadenti, pretenziosi si è più esposti al rischio di essere lasciato, ma questa consapevolezza a volte manca.
Sicuramente chi ha dei tratti di personalità narcisistici, col suo bisogno di risplendere, essere posto al centro, avere un piedistallo su cui poggiare, può attuare modalità di manipolazione o violenza psicologica. Ma non sono necessariamente i narcisisti gli autori della violenza psicologica. A volte, la persona potrebbe avere semplicemente bisogno di auto-rassicurarsi sulla stabilità del proprio legame, quindi può trattarsi di una persona con dei tratti di personalità di tipo dipendente. A volte, più raramente, ci possono essere persone con dei tratti cosiddetti sociopatici, che a livelli di maggiore gravità possono trarre piacere dall’umiliare, schiacciare, nuocere all’altro, dimostrando a volte perversione, totale indifferenza per il vissuto di sofferenza dell’altro, assenza di rimorso.
In ogni caso le strategie per sottomettere psicologicamente l’altro non cambiano di molto. In certi casi però si possono raggiungere elevati livelli di crudeltà. Spesso sono uomini per un fattore unicamente culturale: sono educati a essere dominanti, pena il non essere considerati “veri uomini”.
La violenza psicologica
La violenza psicologica è tutto ciò che, attraverso le parole o modalità comportamentali, è volto alla demolizione dell’autostima e dell’autonomia di una persona, indebolendo la fiducia in sé e la capacità di autodeterminazione.
Naturalmente, più l’autostima è debole, più è facile rendere qualcuno dipendente.
Le modalità più tipiche con cui si manifesta possono essere più facilmente riconoscibili (minacce, intimidazioni, insulti, offese, denigrazioni, squalifiche) in quanto esplicite e capaci di veicolare un senso di paura o mortificazione. Oppure più difficili da discriminare, quando la modalità prevalente è di tipo manipolatorio (sottili ricatti, manipolazioni della realtà, tattiche volte a isolare qualcuno facendogli terra bruciata intorno, oppure sottili strategie di colpevolizzazione).
L’esito che si può raggiungere è appunto l’annullamento dell’altro come persona, l’azzeramento della sua volontà e libertà di pensiero.
La manipolazione affettiva
Manipolare significa letteralmente lavorare con le mani, plasmare a proprio piacimento. Di base, un bravo manipolatore, è un bravo comunicatore: ci sa fare a ottenere il risultato desiderato, attraverso la comunicazione verbale e non verbale.
Può manipolare la realtà dei fatti, negando che qualcosa sia avvenuto, minimizzando i fatti, oppure mentendo spudoratamente. Lo scopo in questo caso è rendere l’altra insicura circa la propria percezione della realtà. Spesso la manipolazione riguarda la responsabilità personale di quanto accaduto: il manipolatore suggerisce sistematicamente una colpa: per le cose che vanno storte oppure per il suo stesso comportamento (ad esempio insistendo sul fatto che “se ho sbagliato, sei tu che mi hai portato a questo”.)
Spesso il manipolatore utilizza l’arma del vittimismo: “soffro perché tu mi fai del male col tuo comportamento”. Il vittimismo funziona molto nelle relazioni di intimità per portare l’altro a modificare il proprio comportamento in una relazione affettiva tutti e tutte saremmo tentati fortemente di fare tutto ciò che è in nostro potere per far star bene l’altro. Se passa il messaggio che il disagio è dovuto al comportamento del partner (che ferisce, offende, manca di rispetto…) quest’ultimo si sentirà tutta la responsabilità di quel malessere e sarà indotto a modificare il proprio comportamento per alleviare le sofferenze della persona amata. Se questo ha anche una base culturale in termini di pretesa sulle donne di prendersi cura, è ovviamente molto più potente.
A volte la manipolazione passa attraverso il linguaggio non verbale, attraverso gesti anche piccolissimi ma con grande potere comunicativo, ad esempio uno sguardo di disapprovazione, un gesto seccato, una smorfia di disappunto, che la partner rileva. In una relazione affettiva, in cui si cerca di compiacere un partner, si modifica il proprio agire pur di avere una risposta positiva, di approvazione.
A volte la “punizione” può essere un cambiamento di umore, un periodo più o meno lungo di mutismo, oppure una certa freddezza nel modo di fare, che trasmette all’altra biasimo, rimprovero. Se non si riesce a intuire le ragioni di questo cambiamento umorale, ci si può ritrovare a continuare a domandarsi “cos’avrò fatto di sbagliato?”. È una condotta che nel tempo trasferisce un senso di inadeguatezza generale che la persona potrebbe portarsi dentro per molto tempo, in certi casi anche dopo la fine della relazione tossica.
Se queste modalità sono stabili, ripetute sistematicamente, possono avere un grande peso nel limitare qualcuno nelle sue scelte di autonomia.
Il ciclo della violenza
Alla fine degli anni ’70 la psicologa Lenore Walker concettualizzò uno degli strumenti più utili per decodificare quello che accade in una relazione maltrattante, solo apparentemente contraddittorio e confuso per chi lo vive dal di dentro, ma in realtà rispondente a un preciso schema funzionale al rafforzamento del potere dell’abusante.
Il pattern della violenza è composto da precise fasi che si susseguono e si ripetono.
L’accumulo della tensione
La fase di accumulo della tensione è caratterizzata da un crescente scontento e un sempre più visibile fastidio, che nei casi di violenza poi diventa rabbia nel maltrattante, ma può restare semplice maretta. Parallelamente, la donna sente salire dentro di sé un timore o un dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato (quando c’è violenza grave ha proprio paura), che la spinge a fare qualcosa per accondiscendere, calmare, accontentare l’altro; diventa più prudente e attenta a quello che fa.
Il maltrattamento
Nella seconda fase avviene il maltrattamento. Esplode la rabbia e la violenza verbale, quella che le donne ci riferiscono essere anche la forma di violenza che porta più conseguenze per la loro salute psicologica: insulti, offese, critiche aspre, accuse. Se anche non si arriva all’aggressione, è evidente che i litigi non sono alla pari. Chi vince è sempre solo uno; chi ottiene ragione è sempre lo stesso, mentre l’altro soccombe ed è sistematicamente nell’impossibilità di portare le proprie ragioni.
La “luna di miele”
Agli episodi di maltrattamento segue sempre una fase di calma, definita “luna di miele”, caratterizzata dalla volontà di riavvicinamento dell’uomo, che mette in atto una serie di comportamenti compensatori. Ritorna la calma, lui può anche scusarsi per aver detto quelle cose che non pensa, concede qualcosa di molto gradito alla partner. Si quietano le acque. In alcuni casi lui sembra tornare esattamente l’uomo di cui ci si è innamorate, portando la donna a pensare che, se la situazione potesse durare, sarebbe la relazione perfetta, quella che la rende felice, la famiglia che ha sempre voluto avere. L’uomo ha un comportamento del tutto antitetico e contraddittorio rispetto alla precedente fase: laddove la donna veniva svalutata e colpevolizzata (“sei la mia rovina, la causa di tutti i miei problemi”), qui viene esaltata e collocata in un ruolo salvifico (“Non posso vivere senza di te, sarei perso, la mia vita sarebbe finita, solo tu mi puoi guarire”).
Un aspetto da rilevare è che anche nell’apparente pentimento, molto difficilmente il violento si assumerà l’intera responsabilità dell’accaduto. Pur dichiarando il proprio rincrescimento e mostrando contrizione, tenterà sempre di insinuare l’idea che lei non avrebbe dovuto provocarlo, sfidarlo, comportarsi in modo scorretto verso di lui.
Il ciclo della violenza è è intrinsecamente manipolatorio, perché non permette di rendersi immediatamente conto di essere in una relazione tossica: lui ha sbagliato, ma poi ha cercato di rimediare, quindi non è cattivo, no? Mi ha insultato, perché in effetti un errore l’ho commesso, però allo stesso tempo mi adora e non mi fa mancare niente. E così si finisce per permanere in una relazione in cui il maltrattamento viene occultato dai comportamenti compensatori della “luna di miele”, che è, naturalmente, strumentale ad avere il controllo, a inibire la possibilità che lei si voglia svincolare.
Nei casi più gravi, quando il manipolatore ha anche tratti antisociali, possiamo finire nel campo della tortura psicologica e del gusto a minare ogni certezza dell’altra, vederla spaventata e disorientata, vederla nel panico e andare da lui per essere rassicurata, perché lui è paradossalmente anche il punto di riferimento affettivo e la fonte di rassicurazione.
Il continuo alternarsi di maltrattamenti e affettività positiva comportano grande confusione e difficoltà per la vittima a decodificare con chiarezza il problema e le sue cause. Il più delle volte la donna sceglierà di continuare a investire nella relazione, sforzarsi di modificare il proprio comportamento fino all’autosacrificio e oltre, fino al totale annullamento di sé, nella speranza che le cose possano funzionare.
Connessioni
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Terapia del trauma
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Servizi per le donne
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Servizi per le donne
Una serie di servizi dello studio di psicoterapia sono specificamente dedicati alle donne, al loro benessere e ai loro diritti.
Rafforzamento dell’autostima femminile
Superamento delle conseguenze psicologiche della violenza di genere
Consolidamento della solidarietà tra donne
Parità di genere