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Tag: cognitivo-comportamentale

Disturbi di personalità

Disturbi di personalità

I disturbi di personalità sono caratterizzati da esperienze emotive e affettive inusuali ed estreme e, ovviamente, fonte di sofferenza e grave stress. Gli schemi di pensiero e di comportamento sottostanti sono poco sani e molto rigidi. Sono disturbi diversi tra loro, ma tutti determinano problematiche significative nelle relazioni e in generale, in ogni ambito della vita, fino al punto di comprometterle.

Secondo la classificazione del DSM V sono:

  • paranoide (sospettosità e diffidenza)
  • schizoide (freddezza e distacco emotivo)
  • schizotipico (eccentricità e idee bizzarre)
  • borderline (instabilità emotiva e relazionale)
  • narcisistico (grandiosità e bisogno di adulazione)
  • antisociale (disprezzo per gli altri, irresponsabilità)
  • istrionico (stravaganza e ricerca di attenzioni)
  • evitante (timidezza e isolamento)
  • ossessivo-compilsivo (perfezionismo e rigidità)
  • dipendente (sottomissione e mancanza di autonomia)

I sintomi possono essere lievi o severi. Le cause hanno sempre a che fare con esperienze precoci che hanno determinato l’instaurarsi degli schemi maladattivi. Essendo ancorati alla struttura di personalità, sono anche stabili e persistenti nel tempo, ma non immodificabili. Per molto tempo sono stati considerati i disturbi tra i più difficili da curare. Tuttavia negli ultimi anni sono stati messi a punto strumenti e tecniche di efficacia comprovata, capaci di mitigare enormemente i sintomi e la sofferenza connessa ad essi. La schema therapy è indubbiamente la terapia elettiva per i disturbi di personalità.

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Il cerchio di Banpo a Fabriano

Il cerchio di Banpo a Fabriano

Dal 17 ottobre al 21 novembre 2022 si è tenuto nella sede del centro antiviolenza “Artemisia” di Fabriano il laboratorio sull’autostima femminile “Il cerchio di Banpo“, ideato e gestito dalla psicoterapeuta Elena Grilli. Fedele all’idea con cui è nata l’idea di questo laboratorio, l’esperienza ha rappresentato un vero e proprio viaggio nel mondo femminile.

Descrizione dell’esperienza

Il laboratorio è consistito in cinque incontri per esplorare l’autostima e i fattori che l’alimentano (o viceversa l’ostacolano). Ci sono state esercitazioni pratiche per entrare in contatto con se stesse e rafforzare specifici aspetti dell’autostima, difendere i propri confini e diritti, esprimersi liberamente rimanendo fedeli a se stesse, dare e darsi valore.

La partecipazione è stata molto attiva, da parte di donne di Fabriano e dintorni di tutte le età. Si sono vivacemente messe in gioco portando esperienze, ricordi, emozioni toccanti, che hanno arricchito la generale conoscenza e consapevolezza del gruppo.

Le partecipanti hanno fatto emergere interessanti riflessioni a partire dalla propria vita. Una regola del gruppo infatti è che ogni vissuto è valido e merita attenzione, ascolto e rispetto. Il non giudizio è fondamentale e consente di esprimersi al proprio massimo e al proprio meglio, in un contesto accogliente in modo incondizionato.

Il laboratorio

Si tratta di un tipo di esperienza che porta la riflessione sulle determinanti personali, familiari e socio-culturali dell’appartenenza di genere che influenzano l’autostima personale. Da questa base si lavora attraverso il confronto di vissuti che permette di non sentirsi “sola” o “diversa”. Infine, si dà spazio a piccole esperienze di auto-rafforzamento.

IL CERCHIO DI BANPO è una iniziativa pensata per essere itinerante e può essere riproposta in altre sedi, su richiesta di associazioni o enti che hanno a cuore le tematiche di genere, con particolare riferimento all’impatto sul benessere femminile.

PER MAGGIORI INFO


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Il fantastico Regno di Ottone

“Il fantastico Regno di Ottone” – scritto da Elena Grilli insieme a Myriam Fugaro, Antonella Pampolini e Monica Massaccesi – è una fiaba che descrive la realtà di famiglie dove c’è violenza, con il focus sulla violenza assistita.

Per i bambini e le bambine può essere importante comprendere quello che accade e la sofferenza personale che ne scaturisce. Questo aiuta ad elaborare ed accettare determinate scelte protettive, come quella di sottrarsi alla violenza, interrompendo il legame (anche temporaneamente) con il papà violento.

Scritto a partire dall’esperienza del Centro antiviolenza di Ancona, Donne e Giustizia, è pubblicato da Ventura edizioni.

Ordinabile presso: Donne e Giustizia, via Senigallia 16, Ancona – tel. 071205376 – donne.giustizia@gmail.com 

I personaggi della fiaba sono:

  • Re Ottone, premuroso con la regina, capace di giocare con i figli, acclamato e amato dal popolo
  • Regina Olimpia, una donna forte
  • Principessina Viola
  • Principino Blu
  • Cane Febo

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Laboratorio di autostima

Laboratorio di autostima

Una iniziativa gratuita, a beneficio delle donne di Fabriano, in collaborazione con il centro antiviolenza di Fabriano “Artemisia”.

Lunedì 17, 24 ottobre, 7, 14, 21 novembre 2022 – dalle ore 18-20

Gli incontri ruotano intorno a tematiche significative dal punto di vista dell’autostima femminile. Spesso le donne che ho intercettato nella pratica clinica o nelle collaborazioni con le varie realtà di contrasto della violenza di genere si pongono domande riferite appunto a questo aspetto. Quante volte ho udito affermazioni tipo:

  • “Io non mi amo abbastanza… me lo dico sempre che devo volermi più bene”;
  • “Mi sento così fragile, dovrei essere più forte”;
  • “Sono la peggiore nemica di me stessa, non credo abbastanza nelle mie capacità e ci sono dei lati di me che detesto!”

Di qui il desiderio di affrontare questioni inerenti il valore personale e il rapporto che ognuna di noi costruisce con se stessa. Il contesto è quello di gruppo, in cui il confronto con le altre possa fungere da motore di crescita e cambiamento.

Il laboratorio è molto esperienziale, arricchito da esercitazioni e attività attraverso le quali consolidare abilità e consapevolezze importanti.

Il gruppo è a numero chiuso. Ogni partecipante ha la possibilità di esprimersi, sperimentarsi e ricevere feedback nella misura in cui le è più utile. Vige una regola di totale libertà espressiva e di rispetto verso il vissuto di ciascuna, che per definizione viene considerato valido e quindi esente da qualunque tipo di giudizio.

I cinque incontri verteranno sulle seguenti tematiche:

  • Definire l’autostima e conoscerne le determinanti individuali, familiari e socio-culturali;
  • Valorizzare se stesse e i propri punti di forza, coltivare la fiducia nel proprio potenziale;
  • Riconoscere i rapporti tossici o dannosi per la propria autostima e difendersene;
  • Conoscere e affermare i propri diritti;
  • Sviluppare la capacità di difendere un confine personale;
  • Costruire rapporti sani, alla pari e basati sul rispetto.

Ogni incontro sarà composto da una piccola introduzione sul tema, seguito da attività, esercitazioni, riflessioni e discussione libera tra le partecipanti. Principi centrali del laboratorio sono la libertà di esporsi nella misura in cui lo si desidera e il non giudizio, al fine di garantire un contesto quanto più sereno e sicuro a tutte le partecipanti.

Qui qualche informazione in più sul laboratorio e su altri servizi dello studio rivolti alle donne.

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Piangere senza alcuna (apparente) ragione

Piangere senza alcuna (apparente) ragione

Il pianto è una reazione non solo comprensibile la maggior parte delle volte, ma anche salutare. Ci calma, riduce il dolore, comunica agli altri il nostro bisogno di aiuto. Ma può capitare di scoppiare a piangere senza alcuna apparente ragione. Perché?

Si piange quando siamo attraversati da una emozione forte o quando proviamo dolore fisico. Non è un segnale di debolezza come si ritiene a volte. A volte però può accadere senza che possiamo pienamente comprenderne le cause in quel momento. Magari non siamo affatto tristi o sconvolti per un motivo preciso. In questi casi è più facile che lo interpretiamo come qualcosa che non va in noi o una fragilità personale.

Depressione

Se si sta attraversando una fase di depressione il pianto senza apparente ragione può essere un sintomo. I sentimenti che tipicamente accompagnano l’umore depresso sono: solitudine, senso di colpa, sensazione di essere indegno come persona, disperazione e perdita di speranza, senso di vuoto interiore.

Ansia

Anche se non siamo spaventati o sconvolti da un fatto preciso, vi possono essere sensazioni di preoccupazione continua accompagnate da sensazioni fisiche spiacevoli di ansia. Queste ultime possono sfociare in un pianto che sembra arrivare in modo imprevedibile.

Difficoltà nella regolazione emotiva

Per motivi diversi, tra cui elevati livelli di stress, possiamo trovarci sopraffatti, senza essere consapevoli della tensione che il nostro corpo sta sperimentando in modo continuativo da tempo. Il pianto può essere uno dei modi attraverso cui queste tensioni vengono, almeno parzialmente, sciolte. È quindi di un meccanismo di regolazione emotiva.

Si piange sempre per un motivo, quindi, anche quando di quel motivo non siamo completamente consapevoli.

Non necessariamente significa che abbiamo un problema serio. Di sicuro il fenomeno ha a che fare con meccanismi di autoregolazione che ci aiutano.

Si può pensare di chiedere un aiuto professionale nei casi in cui sia frequente e duraturo oppure se impatta in modo eccessivo sulla vita quotidiana e sulle relazioni.

La terapia cognitivo-comportamentale

La terapia cognitivo-comportamentale può aiutare a:

  • identificare pensieri ed emozioni sottostanti,
  • discriminare livelli di tensione o stress che possono esserci a monte,
  • applicare una serie di strumenti e prassi di regolazione emotiva.

Nei casi di depressione o disturbi d’ansia la terapia va a rafforzare le abilità che sono efficaci per contrastare queste problematiche.

In ogni caso, il percorso può supportare la persona con tecniche specifiche capaci di permettere fronteggiare le emozioni più intense e spiacevoli.

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Schema Therapy

La schema therapy

Per alcuni di noi le prime fasi della vita non sono state facili. Quello che abbiamo attraversato e le prime sfide che abbiamo dovuto fronteggiare possono continuare ad avere effetti sulla nostra vita adulta.

Il contesto sociale e familiare in cui siamo nati può averci aiutato oppure al contrario ostacolato, nel soddisfare i nostri bisogni primari. Tutti i bambini hanno bisogni innati fondamentali, ma non sono in grado di soddisfarli da sé, dipendono dalla capacità di accudimento degli adulti.

Hanno bisogno di:

  • percepire sicurezza, stabilità, nutrimento, accettazione e amore incondizionato,
  • sviluppare competenze, autonomia, fiducia in sé e senso di identità,
  • esprimere emozioni e bisogni ed essere validati per il loro sentire,
  • essere liberi e spontanei nel gioco e nell’espressione di sé,
  • sperimentare limiti realistici che li aiutino a sviluppare autocontrollo e capacità di stare in modo appropriato e responsabile nelle relazioni.

La Schema therapy è un approccio integrato evidence-based, introdotto da Jeffrey Young, che aiuta le persone ad affrontare gli schemi disfunzionali sviluppatisi in tenera età, e adottare modi di pensare e di agire più sani.

Gli schemi sono temi di vita costituiti da pensieri, emozioni, ricordi e sensazioni fisiche. Hanno a che fare con i modi che abbiamo di relazionarci con noi stessi, gli altri e il mondo in generale. Questi modi possono essere problematici o disadattivi quando i bisogni fondamentali dei bambini non sono stati soddisfatti, per i limiti o l’inadeguatezza nell’accudimento ricevuto dalle figure adulte.

Uno schema definito “maladattivo” può portarci a distorcere l’informazione e a spingerci ad agire in modo disfunzionale o a fare scelte non buone per il nostro benessere. Ad esempio, sentirci inadeguati e sbagliati ci può portare ad avere paura di esporci in normali situazioni di vita, dove temiamo di sbagliare, essere malgiudicati e rifiutati o derisi. Questo può condurre a condotte di evitamento delle situazioni dove potenzialmente potremmo fallire, incrementando la nostra sensazione di incapacità e inadeguatezza.

Il trattamento proposto dalla Schema therapy implica identificare ed esplorare gli schemi maladattivi precoci nella propria vita, sviluppare un’approfondita comprensione sia delle origini degli schemi, sia del modo in cui essi creano difficoltà nella vita presente. Si tratta del trattamento elettivo per i disturbi di personalità.

L’intervento consiste nell’essere assistiti dal terapeuta nello sfidare attivamente i pensieri generati dagli schemi, anche con esercizi di tipo immaginativo o esperienziale, e nel perseguire modi di agire diversi rispetto al passato. Vi sono una varietà di tecniche ormai ben consolidate per passare gradualmente dagli schemi problematici a schemi più funzionali e sani.

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Compassion focused therapy

La Compassion focused therapy

È un approccio integrato che si basa sulla psicologia evoluzionistica, sociale, dello sviluppo e sulle neuroscienze.

Il focus è sulla capacità di sviluppare una mente compassionevole per aiutare le persone a fare l’esperienza di calore, sicurezza e calma interiori. Si tratta di una serie di tecniche che integrano l’approccio cognitivo-comportamentale e che permettono di superare più velocemente il vissuto di vergogna e di colpa, comuni a molte forme di psicopatologia e di sofferenza umana.

Le esperienze di colpa e di vergogna

La ricerca scientifica suggerisce che uno specifico sistema di autoregolazione emotiva sottostà ai sentimenti di auto-rassicurazione, sicurezza e benessere psicologico. Tale sistema si è evoluto con i meccanismi di attaccamento e la capacità della figura accudente di cogliere e rispondere ai fondamentali bisogni del bambino, trasmettendo la sensazione rassicurante di essere protetti, nutriti, accolti con tenerezza. Questa esperienza così fondamentale potrebbe essere stata carente nella storia di vita ed essere così all’origine di uno sbilanciamento emotivo.

Le persone con elevati livelli di vergogna e di autocritica hanno enormi difficoltà ad essere gentili e compassionevoli con se stessi. Non sempre, ma a volte c’è a monte una storia di abusi, trascuratezze gravi o profonde deprivazioni sul piano affettivo. Chi ha avuto esperienze precoci di questo tipo è molto sensibile alla minaccia del rifiuto o della critica e rapidamente diventa autocritico oppure ostile verso il mondo esterno.

La terapia focalizzata sulla compassione

La Compassion Focused Therapy fa parte delle terapie cognitivo-comportamentali di terza generazione, sviluppata da Paul Gilbert. Secondo Gilbert sono tre i sistemi emotivi fondamentali: il sistema della minaccia, il sistema della ricerca di stimoli e il sistema calmante.

Una serie di tecniche e pratiche di CFT permettono di allenare e sviluppare il sistema motivazionale innato dal potere calmante e disattivante (soothing system) rispetto al sistema della minaccia che sottostà ai vissuti di paura, ansia, rabbia. L’obiettivo della terapia non è annullare il sistema della minaccia così utile per proteggerci quando è necessario, bensì riequilibrare i tre sistemi di regolazione delle emozioni.

Una serie di pratiche guidano il paziente verso una auto-osservazione rispettosa, tenera e gentile, arrivando anche a rientrare in contatto con traumi ed esperienze interiori molto negative. La pratica di CFT aiuta anche nel silenziare il rimuginio autodistruttivo, nel prendere le distanze dai circoli viziosi del pensiero autocolpevolizzanti che perpetuano la sofferenza, nell’interrompere quello che viene definito il “ciclo dell’ansia”.

La dott.ssa Grilli ha ottenuto la certificazione europea per la CFT. Vedi il sito di Compassionate Mind Italia

Contatta la dott.ssa Elena Grilli per esplorare pratiche che si sono già dimostrate particolarmente efficaci per i disturbi dell’umore, il disturbo post-traumatico da stress, le psicosi, il dolore cronico.

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Quando 1+1 fa sempre 1

Quando 1+1 fa sempre 1

La violenza psicologica come modo per annullare l’alterità

Breve sintesi dell’intervento

“Quando 1+1 fa sempre 1” è illustrativo di quello che accade in una relazione sentimentale non alla pari, basata sul potere e il controllo, non necessariamente ottenuto attraverso agiti palesemente violenti sul piano fisico. Le modalità più nascoste e subdole, dobbiamo poterle riconoscere per potercene difendere. Quello che accade è che una delle due individualità prevale al punto da annullare, schiacciare, cancellare completamente l’altra.

Quello che è in gioco nella relazione è il potere assoluto. Uno dei due necessita di dominare come un sovrano assoluto. Diversamente dal violento fisicamente, però non è un sanguinario, che soffoca nel sangue la ribellione. E’ un capo che vuole la sottomissione volontaria di una partner, la sua adulazione. Vuole che la partner non possa nemmeno immaginare la sua vita senza di lui.

Ora, se si vuole la sottomissione di qualcuno, senza commettere reati, senza minacciare di morte, senza picchiare, senza usare armi o oggetti contundenti, come si può fare? Si attacca la fiducia che la persona ha in se stessa, facendola vacillare, portandola ad avere dubbi sulle proprie capacità. Portandola alla convinzione di avere bisogno di appoggiarsi a qualcuno che la sorregga, la guidi e la protegga. È così che si ottiene il potere.

Chi fa violenza psicologica?

Il senso comune ci dice che tutti e tutte siamo capaci di fare violenza psicologica. Nella coppia può avvenire ad opera di un uomo o ad opera di una donna verso il rispettivo partner. Si è visto che può avvenire con le stesse modalità anche nelle coppie omosessuali.

Ma… la violenza ha anche radici culturali, viene di più legittimata quando viene fatta da un uomo. Per questo motivo è statisticamente più frequente e più micidiale e pericolosa. Anche i giudizi negativi sono più forti su una donna quando non si confà ai ruoli di genere. La cultura ancora profondamente patriarcale ci insegna fin da appena nati che le donne sono fatte per servire gli uomini. Dunque quando un uomo fa violenza psicologica criticando il disordine in casa, la cena fredda, la camicia non stirata, viene anche legittimato dalla cultura dominante. Invertendo i ruoli, una donna può certamente agire violenza psicologica imponendo pretese varie, ma non c’è un retroterra culturale che le dia ragione.

Una delle modalità attraverso cui avviene il soggiogamento di una persona è l’isolamento, fino anche alla reclusione tra le quattro mura. Anche qui, una donna che esce da sola o con le amiche lasciando il marito a casa può andare incontro a pesanti giudizi. Dunque quando un uomo fa pesare che non dovrebbe uscire senza di lui, è legittimato in parte da un pensiero che non è solo suo, ma di una parte della società in cui viviamo. Il contrario non accade. Una donna può agire nel senso di limitare la libertà dell’altro, criticando, accusando, insinuando, ma certamente andrà incontro al biasimo generale.

In definitiva, se in una coppia è l’uomo a dettare le regole, a dominare, si dice che sta facendo l’uomo. E questo è ok. Se è una donna ad avere il comando, si dice che non è una vera donna. Non è ok. Il primo viene premiato dalla società, la seconda viene biasimata.

Il bisogno di controllo: perché?

Tutti abbiamo bisogno di controllo: ci permette di percepire la realtà in modo stabile e meno minaccioso. Se io ho fiducia di poter esercitare un certo controllo sulla realtà che mi circonda, nulla di poi così terribile mi potrà mai capitare. Non sono alla mercé del caso, del fato, di eventi avversi fuori dal mio potere. Questo è vero per tutti quanti noi. E riguarda anche le relazioni sentimentali: il bisogno di sentire che la relazione sia stabile, sicura e che la persona che ho accanto è affidabile.

Per alcuni il bisogno di controllo è esasperato, diventa bisogno di potere sull’altro. Ha a che fare con il non accettare un minimo rischio. Ad esempio, in una coppia alla pari, dove entrambi sono liberi, è necessario accettare una certa dose di rischio di essere traditi o lasciati. Se non lo si accetta, perché si dà a questi fatti un significato particolarmente negativo, terribile (sono rifiutabile, abbandonabile, sono sbagliato, le mie relazioni sono un fallimento e quindi io sono un fallimento) allora si cercherà di scongiurare il più possibile questa evenienza, esercitando controllo. In una profezia che si autoavvera, di solito proprio diventando controllanti, invadenti, pretenziosi si è più esposti al rischio di essere lasciato, ma questa consapevolezza a volte manca.

Sicuramente chi ha dei tratti di personalità narcisistici, col suo bisogno di risplendere, essere posto al centro, avere un piedistallo su cui poggiare, può attuare modalità di manipolazione o violenza psicologica. Ma non sono necessariamente i narcisisti gli autori della violenza psicologica. A volte, la persona potrebbe avere semplicemente bisogno di auto-rassicurarsi sulla stabilità del proprio legame, quindi può trattarsi di una persona con dei tratti di personalità di tipo dipendente. A volte, più raramente, ci possono essere persone con dei tratti cosiddetti sociopatici, che a livelli di maggiore gravità possono trarre piacere dall’umiliare, schiacciare, nuocere all’altro, dimostrando a volte perversione, totale indifferenza per il vissuto di sofferenza dell’altro, assenza di rimorso.

In ogni caso le strategie per sottomettere psicologicamente l’altro non cambiano di molto. In certi casi però si possono raggiungere elevati livelli di crudeltà. Spesso sono uomini per un fattore unicamente culturale: sono educati a essere dominanti, pena il non essere considerati “veri uomini”.

La violenza psicologica

La violenza psicologica è tutto ciò che, attraverso le parole o modalità comportamentali, è volto alla demolizione dell’autostima e dell’autonomia di una persona, indebolendo la fiducia in sé e la capacità di autodeterminazione.

Naturalmente, più l’autostima è debole, più è facile rendere qualcuno dipendente.
Le modalità più tipiche con cui si manifesta possono essere più facilmente riconoscibili (minacce, intimidazioni, insulti, offese, denigrazioni, squalifiche) in quanto esplicite e capaci di veicolare un senso di paura o mortificazione. Oppure più difficili da discriminare, quando la modalità prevalente è di tipo manipolatorio (sottili ricatti, manipolazioni della realtà, tattiche volte a isolare qualcuno facendogli terra bruciata intorno, oppure sottili strategie di colpevolizzazione).

L’esito che si può raggiungere è appunto l’annullamento dell’altro come persona, l’azzeramento della sua volontà e libertà di pensiero.

La manipolazione affettiva

Manipolare significa letteralmente lavorare con le mani, plasmare a proprio piacimento. Di base, un bravo manipolatore, è un bravo comunicatore: ci sa fare a ottenere il risultato desiderato, attraverso la comunicazione verbale e non verbale.

Può manipolare la realtà dei fatti, negando che qualcosa sia avvenuto, minimizzando i fatti, oppure mentendo spudoratamente. Lo scopo in questo caso è rendere l’altra insicura circa la propria percezione della realtà. Spesso la manipolazione riguarda la responsabilità personale di quanto accaduto: il manipolatore suggerisce sistematicamente una colpa: per le cose che vanno storte oppure per il suo stesso comportamento (ad esempio insistendo sul fatto che “se ho sbagliato, sei tu che mi hai portato a questo”.)

Spesso il manipolatore utilizza l’arma del vittimismo: “soffro perché tu mi fai del male col tuo comportamento”. Il vittimismo funziona molto nelle relazioni di intimità per portare l’altro a modificare il proprio comportamento in una relazione affettiva tutti e tutte saremmo tentati fortemente di fare tutto ciò che è in nostro potere per far star bene l’altro. Se passa il messaggio che il disagio è dovuto al comportamento del partner (che ferisce, offende, manca di rispetto…) quest’ultimo si sentirà tutta la responsabilità di quel malessere e sarà indotto a modificare il proprio comportamento per alleviare le sofferenze della persona amata. Se questo ha anche una base culturale in termini di pretesa sulle donne di prendersi cura, è ovviamente molto più potente.

A volte la manipolazione passa attraverso il linguaggio non verbale, attraverso gesti anche piccolissimi ma con grande potere comunicativo, ad esempio uno sguardo di disapprovazione, un gesto seccato, una smorfia di disappunto, che la partner rileva. In una relazione affettiva, in cui si cerca di compiacere un partner, si modifica il proprio agire pur di avere una risposta positiva, di approvazione.

A volte la “punizione” può essere un cambiamento di umore, un periodo più o meno lungo di mutismo, oppure una certa freddezza nel modo di fare, che trasmette all’altra biasimo, rimprovero. Se non si riesce a intuire le ragioni di questo cambiamento umorale, ci si può ritrovare a continuare a domandarsi “cos’avrò fatto di sbagliato?”. È una condotta che nel tempo trasferisce un senso di inadeguatezza generale che la persona potrebbe portarsi dentro per molto tempo, in certi casi anche dopo la fine della relazione tossica.

Se queste modalità sono stabili, ripetute sistematicamente, possono avere un grande peso nel limitare qualcuno nelle sue scelte di autonomia.

Il ciclo della violenza

Alla fine degli anni ’70 la psicologa Lenore Walker concettualizzò uno degli strumenti più utili per decodificare quello che accade in una relazione maltrattante, solo apparentemente contraddittorio e confuso per chi lo vive dal di dentro, ma in realtà rispondente a un preciso schema funzionale al rafforzamento del potere dell’abusante.
Il pattern della violenza è composto da precise fasi che si susseguono e si ripetono.

L’accumulo della tensione

La fase di accumulo della tensione è caratterizzata da un crescente scontento e un sempre più visibile fastidio, che nei casi di violenza poi diventa rabbia nel maltrattante, ma può restare semplice maretta. Parallelamente, la donna sente salire dentro di sé un timore o un dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato (quando c’è violenza grave ha proprio paura), che la spinge a fare qualcosa per accondiscendere, calmare, accontentare l’altro; diventa più prudente e attenta a quello che fa.

Il maltrattamento

Nella seconda fase avviene il maltrattamento. Esplode la rabbia e la violenza verbale, quella che le donne ci riferiscono essere anche la forma di violenza che porta più conseguenze per la loro salute psicologica: insulti, offese, critiche aspre, accuse. Se anche non si arriva all’aggressione, è evidente che i litigi non sono alla pari. Chi vince è sempre solo uno; chi ottiene ragione è sempre lo stesso, mentre l’altro soccombe ed è sistematicamente nell’impossibilità di portare le proprie ragioni.

La “luna di miele”

Agli episodi di maltrattamento segue sempre una fase di calma, definita “luna di miele”, caratterizzata dalla volontà di riavvicinamento dell’uomo, che mette in atto una serie di comportamenti compensatori. Ritorna la calma, lui può anche scusarsi per aver detto quelle cose che non pensa, concede qualcosa di molto gradito alla partner. Si quietano le acque. In alcuni casi lui sembra tornare esattamente l’uomo di cui ci si è innamorate, portando la donna a pensare che, se la situazione potesse durare, sarebbe la relazione perfetta, quella che la rende felice, la famiglia che ha sempre voluto avere. L’uomo ha un comportamento del tutto antitetico e contraddittorio rispetto alla precedente fase: laddove la donna veniva svalutata e colpevolizzata (“sei la mia rovina, la causa di tutti i miei problemi”), qui viene esaltata e collocata in un ruolo salvifico (“Non posso vivere senza di te, sarei perso, la mia vita sarebbe finita, solo tu mi puoi guarire”).

Un aspetto da rilevare è che anche nell’apparente pentimento, molto difficilmente il violento si assumerà l’intera responsabilità dell’accaduto. Pur dichiarando il proprio rincrescimento e mostrando contrizione, tenterà sempre di insinuare l’idea che lei non avrebbe dovuto provocarlo, sfidarlo, comportarsi in modo scorretto verso di lui.

Il ciclo della violenza è è intrinsecamente manipolatorio, perché non permette di rendersi immediatamente conto di essere in una relazione tossica: lui ha sbagliato, ma poi ha cercato di rimediare, quindi non è cattivo, no? Mi ha insultato, perché in effetti un errore l’ho commesso, però allo stesso tempo mi adora e non mi fa mancare niente. E così si finisce per permanere in una relazione in cui il maltrattamento viene occultato dai comportamenti compensatori della “luna di miele”, che è, naturalmente, strumentale ad avere il controllo, a inibire la possibilità che lei si voglia svincolare.

Nei casi più gravi, quando il manipolatore ha anche tratti antisociali, possiamo finire nel campo della tortura psicologica e del gusto a minare ogni certezza dell’altra, vederla spaventata e disorientata, vederla nel panico e andare da lui per essere rassicurata, perché lui è paradossalmente anche il punto di riferimento affettivo e la fonte di rassicurazione.

Il continuo alternarsi di maltrattamenti e affettività positiva comportano grande confusione e difficoltà per la vittima a decodificare con chiarezza il problema e le sue cause. Il più delle volte la donna sceglierà di continuare a investire nella relazione, sforzarsi di modificare il proprio comportamento fino all’autosacrificio e oltre, fino al totale annullamento di sé, nella speranza che le cose possano funzionare.

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Paura di nausea e vomito

Paura di nausea e vomito

L’esperienza della nausea non è certo piacevole, tuttavia a volte la paura che la circonda può diventare una vera e propria fobia.

In altre parole, si può andare in ansia anche solo pensando di potersi sentire male in determinate circostanze, che quindi saranno evitate.

Spesso si evitano certi cibi associati con l’esperienza della nausea, oppure non si riesce a mangiare fuori casa. Talvolta si saltano i pasti, immaginando di sentirsi male subito dopo aver mangiato. Le conseguenze più invalidanti hanno a che fare con il non riuscire a fare viaggi, partecipare a feste e cene fuori, servirsi di autobus o altri mezzi di trasporto associati con la nausea. A volte non si esce proprio di casa.

Il pensiero d’ansia può essere quello di sentirsi improvvisamente male, non riuscire a inibire il riflesso del vomito oppure fare una figuraccia in un contesto sociale. In effetti talvolta queste paure fanno parte di un più ampio disturbo d’ansia sociale.

Le persone che soffrono di questo disturbo d’ansia (emetofobia) riconoscono come irrazionali i loro timori. Tuttavia sono in un circolo vizioso nel quale:

  • L’anticipazione della situazione di disagio incrementa l’ansia.
  • L’ansia può effettivamente portare nausea. (L’ansia mette sotto stress tutti i sistemi: cardiovascolare, muscoloscheletrico, nervoso, respiratorio, e anche digerente).
  • La sensazione che proviene dallo stomaco dà alla persona la conferma che quello che teme si sta verificando, in un crescendo di malessere.

Come tutti i circoli viziosi, anche questo si può spezzare.

La terapia

Vi sono tecniche molto efficaci per fronteggiare e superare queste sensazioni e paure. In particolare, la terapia cognitivo-comportamentale può aiutare a:

  • Identificare e sfidare i pensieri negativi che causano stress;
  • Fronteggiare le situazioni temute attraverso tecniche di desensibilizzazione.

Anche quando non vi sono cause mediche che giustificano la nausea e il vomito, chi soffre di questo disturbo tende a fare uso di farmaci per gestirli. La terapia cognitivo-comportamentale invece fornisce alla persona gli strumenti personali per ridurli gradualmente fino alla loro estinzione.

Un percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale può facilitare questo passaggio e ridare senso di efficacia, fiducia e potere di cambiamento, interrompendo circoli viziosi improduttivi.

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